Gabbia o "Cage" intersomatica

Cos'è la Cage intersomatica?

La Cage Intersomatica è un dispositivo sintetico a forma di “gabbietta”, principalmente composto da titanio, che viene posizionato al posto di un disco intervertebrale per stabilizzare due corpi vertebrali e promuovere la formazione di un “callo osseo” che li fonda tra di loro. In rari casi, vengono utilizzate cage isolate (stand alone) senza viti peduncolari posteriori, ma nella maggior parte dei casi, vengono associate a strumentazione posteriore con viti e barre per garantire una maggiore stabilità del costrutto, una completa fusione a 360° o circonferenziale, e per ridurre i rischi di spostamenti o mobilizzazioni delle cage stesse.

Quando è indicato usare la cage intersomatica?

Patologia degenerativa: Le cage intersomatiche sono utilizzate principalmente o esclusivamente in casi di grave degenerazione dei dischi intervertebrali nella zona lombare, soprattutto quando si verificano restringimenti del canale vertebrale o dei forami intervertebrali che causano dolore cronico e una sensazione di mancanza di forza alle gambe dopo pochi metri di cammino, costringendo la persona a sedersi. In queste situazioni, il ripristino dell’altezza del disco e la fusione successiva possono alleviare la compressione delle strutture nervose in modo indiretto e migliorare o risolvere i sintomi.

 

Patologia traumatica: Le cage intersomatiche possono essere utilizzate in certi casi di fratture dei corpi vertebrali che comportano una significativa perdita di sostegno alla parte anteriore della colonna vertebrale. In questi casi, la cage viene utilizzata per sostituire completamente il corpo vertebrale fratturato, fornendo un supporto adeguato e contribuendo alla stabilizzazione della colonna vertebrale.

 

Come sono fatte le cage intersomatiche?

La parola “cage” in inglese significa “gabbia”. Le cage intersomatiche sono gabbie di varie forme, dimensioni e materiali che vengono inserite nello spazio tra due corpi vertebrali che originariamente erano occupati dai dischi intervertebrali degenerati. La loro conformazione tridimensionale le fa somigliare all’osso spongioso per permettere l’inserimento di osso autologo o sostituti ossei. Lo scopo finale delle cage intersomatiche è di favorire la crescita ossea e la fusione tra le ossa dei due corpi vertebrali, bloccando così il tratto di colonna vertebrale mediante artrodesi. Esistono cage di dimensioni e forme prefissate e cage espandibili che possono essere espanse fino all’altezza desiderata. Quest’ultime riducono la preparazione dello spazio discale e i rischi chirurgici.

Ci sono delle controindicazioni agli interventi di posizionamento delle cage intersomatiche?

Le controindicazioni all’intervento di posizionamento di cage intersomatiche sono principalmente tre:

  1. La presenza di un’infezione vertebrale (spondilodiscite);
  2. Una grave osteoporosi, che aumenta il rischio di “subsidenza” ossia di cedimento delle cage nei corpi vertebrali;
  3. Gravi coagulopatie, ovvero alterazioni della coagulazione del sangue, che comportano un aumentato rischio di emorragie.

Quali sono le tecniche chirurgiche che si possono utilizzare per posizionare le cage intersomatiche?

Come si può notare dalla figura sottostante per posizionare le cage
intersomatiche al posto del disco intervertebrale si può “procedere” in
vari modi:
per via anteriore (ALIF), passando attraverso l’addome;
– per via antero-laterale/obliqua (OLIF);
– per via laterale diretta (XLIF/LLIF);
– per via postero-laterale (PLIF/TLIF).

 

La scelta della via di accesso e del posizionamento della cage intersomatica dipende da diversi fattori. Innanzitutto, il disco da trattare è un fattore determinante: per esempio, la via anteriore (ALIF) consente il posizionamento relativamente agevole della cage nello spazio intersomatico tra L5 e S1, mentre il posizionamento nello spazio tra L3 e L4 o L2 e L3 è più difficile e rischioso. La via laterale (XLIF) è utile per trattare il disco L3-L4 e L4-L5, ma il posizionamento della cage nello spazio tra L5 e S1 è molto più difficile e rischioso. La via postero-laterale, invece, consente il trattamento abbastanza agevole di tutti i dischi intervertebrali lombari con un solo accesso chirurgico.

Inoltre, la storia anamnestica di precedenti interventi chirurgici addominali può rendere difficoltosi e rischiosi i trattamenti per via anteriore, obliqua o laterale, a causa della presenza di potenziali aderenze cicatriziali.

Infine, l’esperienza del chirurgo è un fattore cruciale nella scelta della tecnica di posizionamento della cage intersomatica, che può anche avvenire attraverso tecniche mini-invasive, percutanee o con guida endoscopica. In ogni caso, vi sono indicazioni e controindicazioni all’utilizzo delle diverse tecniche operatorie.

 

Nel corso degli anni cosa succede una volta posizionate le cage intersomatiche?

L’obiettivo finale del posizionamento delle cage intersomatiche è quello di ottenere la formazione di un ponte osseo che unisca i due corpi vertebrali, attraverso la fusione ossea o artrodesi. Per raggiungere tale obiettivo, si inseriscono all’interno delle cage sostituti ossei, osso di banca o frammenti ossei del paziente stesso appositamente preparati, creando un innesto osseo autologo. Tuttavia, questo processo richiede del tempo, solitamente diversi mesi, affinché la fusione ossea si verifichi e porti alla creazione del ponte osseo definitivo.

Stabilizzazione vertebrale – Artrodesi con tecnica open o mini-invasiva

Viene utilizzata una tecnica chirurgica per trattare problemi gravi della colonna lombare, come la spondilolistesi degenerativa, la stenosi canalare, le scoliosi dell’adulto e le discopatie lombari multiple. La procedura comporta il posizionamento di viti in titanio in ogni vertebra coinvolta, sotto stretto controllo radiologico intraoperatorio, e la loro connessione a barre sagomate per stabilizzare la parte della colonna che causa il dolore cronico. In alcuni casi, può essere necessario rimuovere la porzione più posteriore della vertebra (lamina) o i legamenti degenerati ed ispessiti tra vertebre contigue (laminectomia – recessotomia) per liberare le strutture nervose. Grazie alla tecnologia più avanzata e alle metodiche moderne, in alcuni casi selezionati, queste procedure possono essere eseguite in modo mini-invasivo attraverso piccole incisioni cutanee, rispettando al massimo i tessuti molli e muscolari.

Discectomia microchirurgica per ernia discale cervicale

Trattamento specifico per ernie discali cervicali che causano dolore persistente al collo e alle braccia e sono resistenti a trattamenti conservativi o causano compressione selettiva del midollo spinale. Con l’utilizzo del microscopio operatorio ad alto ingrandimento, si esegue una piccola incisione cutanea laterocervicale anteriore destra per rimuovere completamente il disco cervicale e l’ernia discale. Il disco è sostituito con una protesi cervicale o un innesto osseo chiamato “gabbietta” o “cage” per mantenere l’altezza corretta del disco degenerato. La procedura viene eseguita in anestesia generale e consente una mobilizzazione precoce, con dimissione a domicilio entro la seconda giornata post-operatoria e il ritorno alle normali attività lavorative in 20-30 giorni.

 

Trattamento antalgico postoperatorio

La fase post-chirurgica rappresenta un momento cruciale nel processo di guarigione del paziente. Dopo l’intervento, il corpo deve riprendere le proprie funzioni e superare eventuali complicanze. Per questo motivo, è fondamentale che il paziente venga seguito da un team medico specializzato che possa monitorare costantemente il suo stato di salute e intervenire tempestivamente in caso di necessità.

In particolare, l’anestesista svolge un ruolo chiave nella gestione del dolore post-operatorio. Grazie alle più moderne metodiche, come i blocchi selettivi dei rami nervosi, i sondini peridurali o la somministrazione continuata di mini-dosi di analgesici, è possibile ridurre significativamente la sintomatologia dolorosa del paziente e favorire la sua ripresa.

Oltre alla gestione del dolore, l’anestesista utilizza anche farmaci di ultima generazione per prevenire eventuali complicanze e garantire il benessere del paziente. Grazie a un’attenta valutazione delle sue condizioni di salute e alla scelta dei farmaci più appropriati, è possibile minimizzare i rischi e favorire una rapida guarigione.

In definitiva, la presenza dell’anestesista nella fase post-chirurgica rappresenta un elemento di sicurezza fondamentale per il paziente, garantendo un’assistenza medica di alta qualità e un recupero rapido ed efficace.

 

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